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Iniezioni intravitreali: come affrontarle bene e vincere l’asia è una questione che si pongono quasi tutte le persone che devono iniziare questo genere di percorso terapeutico.

Esse rappresentano un trattamento efficace per contrastare la progressione della degenerazione maculare senile essudativa. Il Mancherster Royal Eye Hospital ha recentemente pubblicato sulla rivista American Journal of Ophtalmology i risultati di una ricerca volta a valutare la presenza di ansia e depressione nei pazienti che si sottopongono alle iniezioni anti-VEGF per il trattamento della patologia. Tuttavia, molti dei timori sperimentati dai pazienti sono del tutto infondati. Cerchiamo di spiegarne i motivi. 

Premessa: cosa sono le iniezioni anti-VEGF

La terapia a base di iniezioni intravitreali anti-VEGF rappresenta un’arma efficace per contrastare la degenerazione maculare senile essudativa. Quest’ultima è una forma di degenerazione della macula – la parte centrale della retina, situata proprio in corrispondenza della papilla del nervo ottico – deputata alla visione centrale ed alla percezione del colori. Nella forma essudativa, la degenerazione maculare senile si verifica quando, sulla membrana sottostante alla retina, chiamata coroide, si ha una crescita anomala di vasi sanguigni, innescata da una particolare proteina detta VEGF. La ricerca medica ha messo a punto un farmaco, detto anti-VEGF, che permette di contrastare con efficacia questa proliferazione di vasi sanguigni e di offrire beneficio proprio a chi soffre di degenerazione maculare senile essudativa.

L’obiettivo della ricerca ed i suoi risultati

L’obiettivo della ricerca condotta dai ricercatori del Manchester Royal Eye Hospital era quello di sondare i livelli di ansia e depressione nei pazienti sottoposti ad iniezioni intravitreali, ovvero vagliare lo stato psicologico di chi si sottopone con una certa periodicità a trattamenti invasivi. Effettivamente, nonostante il miglioramento oggettivo del quadro clinico del paziente e dunque della capacità visiva, la ricerca ha evidenziato la presenza di ansia e depressione dovute alla paura di sottoporsi alle iniezioni intravitreali, soprattutto nelle prime fasi del trattamento. (fonte: Ajo.com)

In cosa consiste il trattamento con iniezioni intravitreali

La terapia consiste in tre iniezioni intravitreali seguite da altre, fino ad un totale di 6/8 iniezioni nell’arco del primo anno di trattamento. Recentemente peraltro, l’Unione Europea ha stabilito che l’oculista abbia facoltà decidere, compatibilmente con la risposta del paziente al trattamento, come cadenzare le iniezioni successive alle prime tre. (fonte Bayer.de).

Iniezioni intravitreali: come affrontarle bene senza ansia

Niente paura! Il segreto è affidarsi ad un oculista di grande esperienza

Il timore infondato che il farmaco non dimostri la sua efficacia e la paura (altrettanto infondata) di subire danni oculari a seguito delle iniezioni, contribuiscono ad alimentare uno stato di ansia e di depressione che trova miglioramento solamente laddove il medico dimostri comprensione ed empatia verso i pazienti, instaurando con essi un legame che trascenda la pura esecuzione di una pratica medica per sfociare nella costruzione di un vero rapporto di fiducia tra medico e paziente.

Un trattamento efficace, sicuro ed indolore

Le iniezioni intravitreali vengono praticate da oculisti esperti con aghi sottilissimi: non si tratta dunque di una procedura dolorosa, né pericolosa. Inoltre, queste iniezioni si sono dimostrate molto efficaci nel trattamento della patologia. E’ naturale sperimentare un po’ di ansia nel momento in cui ci si sottopone ad un intervento invasivo, ma la scelta di un oculista esperto con il quale instaurare un rapporto di fiducia basato sul dialogo, sicuramente vi aiuterà ad affrontare le iniezioni anti-VEGF con maggiore serenità.

 

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Retinopatie e Glaucoma: prevenzione Neovision insieme a Zeiss!

Lo sviluppo delle nanotecnologie e la loro applicazione al campo medico non smette mai di sorprenderci, e ci regala sorprese ogni giorno più inaspettate. L’ultima sorpresa in ordine di tempo ci è giunta qualche settimana fa, quando i ricercatori della Harvard Paulson School hanno sviluppato un occhio artificiale in grado di “restituire” la vista a chi purtroppo l’ha perduta. Vediamo di che si tratta.

Il dispositivo del quale stiamo parlando è stato pensato e sviluppato dai ricercatori della Harvard John A. Paulson School, ed è stato presentato il 23 febbraio 2018 in occasione della Conferenza Internazionale organizzata dalla Royal Institute for the Blind di Londra. L’occhio artificiale in questione, che possiamo definire senza timore di sbagliare “bionico”, è un innovativo dispositivo in grado di restituire almeno parte della visione perduta ai non vedenti. Una scoperta rivoluzionaria e ambiziosa, che riempie di gioia e di aspettative sicuramente chi da sempre spera di recuperare almeno un minimo di capacità visiva.

Come funziona il dispositivo progettato dai ricercatori

Il dispositivo presentato dalla Harvard Paulson School è un occhio artificiale un pò complesso: si compone di un paio di occhiali dotati di videocamera. Nell’occhio del paziente, invece, viene impiantato un microchip.

In questo caso, al paziente viene impiantato nel bulbo oculare un microchip; la telecamera posta sugli occhiali invia le immagini al microchip, che a sua volta le invia al cervello previa stimolazione delle terminazioni nervose dell’occhio. Il cerchio si chiude quando il cervello restituisce l’immagine – non ad alta definizione, bensì approssimativa – catturata dalla videocamera all’occhio.

Qual è la novità di questo innovativo occhio artificiale?

Non è la prima volta che, in giro per il mondo, tra università e centri di ricerca, viene progettato un occhio artificiale con microchip da impiantarsi nell’occhio per aiutare chi ha gravi problemi oculari a recuperare almeno un minimo di visione. Il vantaggio di questo dispositivo è quello di agire proprio come un occhio umano, riuscendo ad accomodare ed a modificare il fuoco in tempo reale. L’obiettivo, per il futuro, è non solo quello di migliorare e perfezionare il dispositivo, ma anche quello di superare i limiti dell’occhio umano, portandolo a correggere, sempre in tempo reale, anche le aberrazioni, come per esempio quelle dovute all’astigmatismo. Un progetto senza dubbio ambizioso, che apre le porte ad ulteriori fasi di questa ricerca che sta risvegliando l’interesse tanto della comunità scientifica quanto dei tanti ipovedenti o non vedenti che confidano nel progresso della tecnologia per riuscire a recuperare almeno una minima parte della visione perduta.

C’è ancora molta strada da fare

Naturalmente, anche in questo caso la ricerca deve fare ancora molta strada, e l’occhio artificiale sviluppato dai ricercatori, altrove definito “occhio bionico” non è nemmeno stato ancora testato su esseri umani. Non ci resta che seguirne da vicino l’andamento, per scoprire gli ulteriori progressi della tecnologia posta al servizio della medicina.

Fonte: Seas.Harvard.Edu